LUCA D’ALBERTO – Consequences

Quella di Luca D’Alberto non è musica da ascoltare solo con le orecchie: è un rincorrersi di suoni e note in cui immergersi mente e corpo, con tutti i sensi, regalandosi la possibilità di allontanarsi dalla materialità del quotidiano per spaziare con l’immaginazione in altre dimensioni. Reduce dal successo dell’album di debutto «Endless», uscito a maggio 2017, il musicista e compositore abruzzese è ora pronto per un ulteriore passo in avanti con «Exile», secondo album in studio della sua carriera e seconda pubblicazione con 7K!, dipartimento dedicato alla musica neoclassica, ambient e sperimentale, lanciato dalla storica etichetta berlinese !K7.

Il titolo del disco è eloquente: per mettere a punto le otto tracce di «Exile» D’Alberto si è isolato, con l’obiettivo di trovare una dimensione che lo aiutasse a lasciar fluire dentro di sé le emozioni da trasformare in musica. Ma non ha limitato tale isolamento alla fase di scrittura. «Quando mi devo concentrare su un nuovo lavoro mi piace chiudermi in una stanza e non solo comporre, ma anche suonare e registrare tutto da me», spiega il violinista e multistrumentista di Teramo, classe 1983. «Non è una cosa che fanno in molti: ci siamo abituati ad ascoltare dischi che non rappresentano davvero il talento di chi li firma, perché realizzati con intere squadre di arrangiatori, esecutori e altre figure professionali. Per me, invece, la connessione tra idea creativa, realizzazione e incisione della stessa è essenziale: in “Exile” ci sono le mie mani al cento per cento, c’è il mio tocco personale, che proprio in quanto personale non è replicabile. L’esilio del titolo rimanda alla mia volontà di esserci io, nei miei brani; con tutta la mia forza e con tutti i miei limiti, ma io».

Frutto di questa attitudine sono composizioni costruite attorno a melodie potenti e memorabili, crescendo alternati a passaggi più dilatati, piramidi sonore da cui affiorano elementi fino a un attimo prima nascosti, intrecci di violino e pianoforte che trasmettono l’idea di una danza, ritmi che sembrano emergere dal nulla, interessanti stratificazioni sonore. Il tutto unito ad atmosfere cinematiche a tratti delicate e malinconiche, a tratti potenti e vigorose, legate al grande amore di D’Alberto per il cinema e le colonne sonore, ambiti che lo hanno visto collaborare nientemeno che con l’attore e regista italiano Michele Placido, con Peter Greenaway e la moglie e artista multimediale Saskia Boddeke, e ancora con il Pina Bausch Tanztheater di Wuppertal, Germania.

«Avendo frequentato altri contesti artistici, le mie fonti d’ispirazioni non sono musicali, non compongo a partire da ascolti e input sonori, bensì da immagini visive e sensazioni», dice D’Alberto, le cui musiche, non a caso, sono state scelte anche per accompagnare la pubblicità di Apple «The Archives» e lo spot ufficiale dell’edizione 2017 del prestigioso torneo tennistico di Wimbledon. «La musica di “Exile” viaggia su due binari», continua il compositore parlando del suo nuovo disco. «Da una parte c’è la dolcezza, e qui l’immagine che forse si avvicina di più all’idea che volevo esprimere con la musica è quella di una carezza non data, quella di una persona che ti è vicina e ti sfiora, ma senza toccarti realmente. Dopodiché c’è un lato più aggressivo, che si traduce nella presenza, in questi miei nuovi brani, di lame nascoste connesse a un’urgenza compositiva cui mi è impossibile sfuggire».

Il cuore della sua scrittura è la melodia e sotto questo profilo l’obiettivo di D’Alberto è di dare vita a melodie il più possibile vicine ai concetti di sublime e di bellezza eterna, una bellezza che possa essere credibile oggi come tra cent’anni. Poi c’è la componente elettronica, cui il compositore di Teramo si è avvicinato con estrema delicatezza: «La tecnologia si evolve in continuazione e l’elettronica è schiava della tecnologia», sostiene D’Alberto. «Per questo quella di “Exile” è un’elettronica ricercata, che scaturisce dalla manipolazione di strumenti reali»

Alle spalle una solida formazione classica, con «Exile» D’Alberto utilizza, dunque, l’elettronica, come mezzo per amplificare la potenza espressiva di strumenti acustici quali pianoforte, archi, tamburi della tradizione orientale, gong, campane di quarzo tibetane. Operazione, questa, portata avanti con la complicità di un pezzo da novanta come Patrick Christensen alias PC Nackt, figura preminente del panorama musicale tedesco, compositore e polistrumentista che dopo un inizio di carriera con la band electro-punk Warren Suicide, ha fondato a Berlino lo studio Chez Chérie, dato vita al progetto String Theory, affiancato alla produzione vari artisti, tra cui Sascha Ring, ossia Apparat, uno dei nomi più acclamati dell’elettronica internazionale.

«Con PC Nakt l’idea è stata quella di far scontrare due eserciti, quello della bellezza sublime e quello dell’aggressività, per consentire alle lame nascoste nella mia musica di affiorare e plasmare, così, qualcosa di nuovo», rivela D’Alberto. Questo l’intento con cui, nella traccia «Consequences», per esempio, i due hanno inserito delle maracas ritmiche e distorto e saturato i violini. «Mentre “Pianodiscoteque” merita un discorso a sé, perché si tratta di un brano scaturito da un sogno», confida Luca, di stanza tra Roma e Berlino. «Mi sono immaginato una discoteca berlinese dove le persone non abbiano bisogno di una cassa in quattro per ballare, ma si lascino coinvolgere e trasportare da un tipo di musica diverso, più etereo, basato su un amalgama di pianoforte e archi. Concetto – questo – che ha conquistato PC Nackt, il quale l’ha sviluppato costruendo un tappeto di suoni elettronici, sì, ma non palesemente da club».

Antonio Bacciocchi

Scrittore, musicista, blogger. Ha militato come batterista in una ventina di gruppi (tra cui Not Moving, Link Quartet, Lilith), incidendo una cinquantina di dischi e suonando in tutta Italia, Europa e USA e aprendo per Clash, Iggy and the Stooges, Johnny Thunders, Manu Chao etc. Ha scritto una decina di libri tra cui "Uscito vivo dagli anni 80", "Mod Generations", "Paul Weller, L’uomo cangiante", "Rock n Goal", "Rock n Spor"t, Gil Scott-Heron Il Bob Dylan Nero" e "Ray Charles- Il genio senza tempo". Collabora con i mensili “Classic Rock”, "Vinile" e i quotidiani “Il Manifesto” e “Libertà”. E' tra i giurati del Premio Tenco e del Rockol Awards. Da sedici anni aggiorna quotidianamente il suo blog www.tonyface.blogspot.it dove parla di musica, cinema, culture varie, sport e con cui ha vinto il Premio Mei Musicletter del 2016 come miglior blog italiano. Collabora con Radiocoop dal 2003.

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