SOLO feat. Nobody – Something (you don’t need)

Dopo l’elektronische musik di “Stati emozionali” e la psichedelia di “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”, SOLO cambia di nuovo direzione con un brano in bilico fra dream pop, synth pop e dance: “Something (you don’t need)”.
Nato come brano su commissione per il producer Lup Ino, “Something (you don’t need)” ha avuto una lunga gestazione, passando anche fra le mani di Cosmo.
«Quando Lup Ino mi chiese di scrivere qualcosa per lui mi ero inizialmente rifatto a certa house. L’arrangiamento di Cosmo era, invece, indirizzato verso un suono più moderno. La versione definitiva, arrangiata e suonata interamente da me, vira più verso territori dream pop, synth pop e dance, dove elettroacustico e elettronica si miscelano».
Chitarre acustiche e chitarre elettriche che si trasformano in synth, due bassi, chitarre suonate con l’e-bow e arpeggiatori programmati digitalmente, una cassa continua, fanno da base al cantato di SOLO che si intreccia con la voce di Nobody, in un dialogo intimo, a volte in risposta, a volte armonizzando.
«Il brano, già dall’inizio, era stato concepito per essere cantato a due voci, una maschile e una femminile. Quello che cercavo era una voce sottile, a tratti bambinesca, ma al contempo adulta, sensuale: Nobody ha interpretato il brano alla perfezione, come lo immaginavo già dal momento in cui lo eseguivo da solo».

“Something (you don’t need)” si pone come aspra critica alla società dell’apparire, che ci spinge a dover essere sempre esteticamente “perfetti”, secondo canoni prestabiliti, cosa che comporta una graduale perdita dell’individualità, della propria personalità e unicità, a favore di un “conformismo estetico” che ci rende l’uno copia dell’altro, concetto ripreso anche nella cover art del singolo.
«Nella cover art, la testa di manichino simboleggia la perdita di personalità derivata da un fare conformista, mentre le parti del viso, capelli, occhi, bocca, incollate sul volto impersonale e vuoto, rappresentano il tentativo, fallimentare, di trovare una propria personalità utilizzando parti del corpo altrui, per influenza esterna e non per propria scelta, nel tentativo di emulare personaggi eretti a modello dalla società, una società che ce li fa percepire inarrivabili, irraggiungibili, solo per ricordarci qual è il nostro posto; sullo sfondo, o sul fondo».
Il video che accompagna il brano, diretto da Alberto Cammarano e interpretato da Giulia Sarubbi, riprende e sottolinea il concetto.
«Una ragazza, che non riusciamo mai a vedere interamente in volto, si trucca, prima di uscire in una Milano alienante. Alienante come lo sono le grandi città, dove l’individuo si perde tra la folla e tra i grattacieli, diventando un uno in mezzo ai tanti, un prodotto della società in cui vive, un ingranaggio di una macchina che ci vuole tutti insicuri, per poi poterci “rassicurare”. Alla fine, cerchiamo di essere “perfetti” esteticamente per non sentirci inadeguati a un mondo che vuole farci sentire inadeguati; un mondo che ci rende insicuri per poterci più facilmente manipolare e, al contempo, spingerci a colmare quel senso di inadeguatezza attraverso ciò che altri hanno deciso possa in qualche modo renderci appagati».
Registrata interamente da SOLO presso il The Bordello Rock ‘n’ Roll Studio e mixata e masterizzata da Edoardo Di Vietri presso l’Hexagonlab Recording Studio, “Something (you don’t need)” è il secondo singolo estratto, dopo “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”, dall’album “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, di prossima pubblicazione.
«Da ascoltatore onnivoro, ho sempre apprezzato gli album dove più generi coesistono tra di loro; penso al “White album” dei Beatles, ad esempio. “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” sarà un album molto variegato, con canzoni che vanno dalla psichedelia all’art rock passando per il punk, il dream pop, lo shoegaze, il grunge, la dance».

Antonio Bacciocchi

Scrittore, musicista, blogger. Ha militato come batterista in una ventina di gruppi (tra cui Not Moving, Link Quartet, Lilith), incidendo una cinquantina di dischi e suonando in tutta Italia, Europa e USA e aprendo per Clash, Iggy and the Stooges, Johnny Thunders, Manu Chao etc. Ha scritto una decina di libri tra cui "Uscito vivo dagli anni 80", "Mod Generations", "Paul Weller, L’uomo cangiante", "Rock n Goal", "Rock n Spor"t, Gil Scott-Heron Il Bob Dylan Nero" e "Ray Charles- Il genio senza tempo". Collabora con i mensili “Classic Rock”, "Vinile" e i quotidiani “Il Manifesto” e “Libertà”. E' tra i giurati del Premio Tenco e del Rockol Awards. Da sedici anni aggiorna quotidianamente il suo blog www.tonyface.blogspot.it dove parla di musica, cinema, culture varie, sport e con cui ha vinto il Premio Mei Musicletter del 2016 come miglior blog italiano. Collabora con Radiocoop dal 2003.

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